TIAZIDI
E IPERGLICEMIA IN RELAZIONE ALL'INDICE DI MASSA CORPOREA
Un nuovo studio mostra che i pazienti che iniziano la terapia antipertensiva
con tiazidi hanno maggiori livelli glicemici e l'entità di questo
effetto è strettamente correlata all'indice di massa corporea.
I ricercatori hanno condotto uno studio osservazionale retrospettivo allo
scopo di esaminare l'associazione tra IMC e glicemia a digiuno in 2624
pazienti che avevano iniziato la terapia antipertensiva con tiazidi. Successivamente
all'inizio del trattamento, si è osservata una graduale progressione
nell'entità della variazione di glicemia all'aumentare dell'IMC.
Inoltre IMC, potassio serico al follow-up e glicemia al basale predicevano
lo sviluppo di diabete. I diuretici tiazidici possono compromettere il
metabolismo glicemico diminuendo sia la secrezione insulinica che la sensibilità
periferica all'ormone. I risultati dello studio approfondiscono questa
teoria, suggerendo che la probabilità di sviluppo del diabete dopo
l'inizio della terapia sia associato all'IMC.
[THE EFFECT OF BODY MASS INDEX ON FASTING BLOOD GLUCOSE
AFTER INITIATION OF THIAZIDE THERAPY IN HYPERTENSIVE PATIENTS. Am J Hypertens
2008; 21:438-442]
EFFETTI
RELATIVI DEI FARMACI PER L'OSTEOPOROSI NELLA PREVENZIONE DELLE FRATTURE
NON VERTEBRALI
Le terapie utilizzate per trattare l'osteoporosi comprendono bifosfonati,
calcitonina, raloxifene e teriparatide. Trial controllati randomizzati
hanno mostrato che le donne in terapia con alendronato hanno un maggior
aumento della densità minerale ossea e una più drastica
riduzione del ricambio osseo entro 12 e 24 mesi dall'inizio della terapia.
Sebbene la densità minerale ossea sia un buon predittore di fratture,
le differenze nei valori di questo marker surrogato non possono essere
efficacemente convertite in differenze nel rischio di fratture. Da questo
studio con base di popolazione su 43.135 nuovi utilizzatori di terapie
antiosteoporotiche è emersa una modesta differenza tra i tassi
di fratture non vertebrali in nuovi utilizzatori di alendronato, risendronato
e raloxifene, mentre il rischio era più alto nei nuovi utilizzatori
di calcitonina. Questi risultati potranno essere chiariti da studi futuri
che tengano conto di possibili fattori confondenti.
[RELATIVE EFFECTIVENESS OF OSTEOPOROSIS DRUGS FOR PREVENTING
NONVERTEBRAL FRACTURE. Ann Int Med 2008; 148:637-646]
ACIDO
EICOSAPENTENOICO E GRAVITÀ DELLA SINTOMATOLOGIA DEPRESSIVA
Uno studio francese ha osservato che i livelli plasmatici di EPA (acido
eicosapentaenoico) di un gruppo di pazienti depressi erano inferiori a
quelli di un gruppo di controllo senza la sintomatologia depressiva. Lo
studio ha riguardato 1390 soggetti di età media pari a 74,6 anni.
I soggetti depressi erano più anziani, prevalentemente donne e
avevano livelli di EPA inferiori, mentre non c'erano differenze significative
nei livelli degli altri acidi. Questa è la prima evidenza che riguarda
l'associazione tra i disordini dell'umore e gli acidi grassi polinsaturi;
in particolare, i ricercatori fanno notare che questa è la prima
osservazione che riguarda gli omega 3 e il miglioramento dei sintomi della
sindrome depressiva negli anziani. Aumentare l'apporto degli omega 3 potrebbe
coadiuvare il trattamento dei disordini dell'umore e forse sostituire
la terapia farmacologica nella fasi iniziali della depressione.
[PLASMA EICOSAPENTAENOIC ACID IS INVERSELY ASSOCIATED
WITH SEVERITY OF DEPRESSIVE SYMPTOMATOLOGY IN THE ELDERLY: DATA FROM THE
BORDEAUX SAMPLE OF THE THREE-CITY STUDY. Am J Clin Nutr. 2008 May;87(5):1156-62]
EPIDEMIOLOGIA
DELLA VITAMINA B6 NELLA POPOLAZIONE AMERICANA
Non sono note patologie conseguenti al deficit di vitamina B6, ma poiché
essa e i suoi metaboliti prendono parte a numerose importanti reazioni
è stato ipotizzato che l'apporto insufficiente della vitamina possa
avere conseguenze sullo stato di salute. Per indagare questa teoria sono
state misurate le concentrazioni di PLP (piridossal-fosfato, un intermedio
del metabolismo della B6 che ha funzioni di cofattore) nei campioni di
plasma di circa 8000 partecipanti al NHANES condotto tra il 2003
e il 2004, ottenendo ad oggi la miglior opportunità di descrivere
l'epidemiologia della vitamina B6. Sono state così identificate
le classi di popolazione deficitaria di B6: le donne in età fertile
specie se assumono contraccettivi orali, gli uomini fumatori, i maschi
afro-americani non ispanici, gli anziani ultrasessantacinquenni. Il consumo
di 3-4,9 mg/d di vitamina B6 sembra coerente con quello definito dall'Apporto
Dietetico Raccomandato; tuttavia, per una porzione consistente della popolazione
tale valore non è sufficiente, anche se il deficit sembra risolto
nelle persone che seppure a rischio assumono dei supplementi di B6 in
forma liquida.
[PLASMA PYRIDOXAL 5'-PHOSPHATE IN THE US POPULATION:
THE NATIONAL HEALTH AND NUTRITION EXAMINATION SURVEY, 2003-2004. Am J
Clin Nutr 2008; 87:1446-54]
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PM10
E RICOVERI OSPEDALIERI PER MALATTIE RESPIRATORIE E CARDIOVASCOLARI
Sono stati pubblicati molti studi epidemiologici sul rischio associato
al particolato fine (PM10). Gli effetti sulla salute dipendono
strettamente dal diametro delle particelle, che ne determina la sede preferenziale
di deposizione, dalla loro fonte e dalla composizione chimica. Le ricerche
in merito alle conseguenze del particolato di dimensioni superiori o inferiori
al PM10 sono limitate e riportano dati contrastanti. Questo
studio ha voluto indagare il rischio di ammissione ospedaliera per malattie
respiratorie o cardiovascolari associato al PM10-2,5, utilizzando
i dati relativi ai ricoveri ospedalieri e le registrazioni delle condizioni
dell'inquinamento atmosferico da gennaio 1999 a dicembre 2005. È
emerso che un aumento di 10-microg/m3 nel PM10-2,5
era associato allo 0,33% in più (statisticamente non significativo)
nei tassi di ammissione ospedaliera per malattie respiratorie dello stesso
giorno e allo 0,36% per le malattie cardiovascolari ma, dopo aggiustamento
per i PM2,5, l'associazione perdeva la significatività
statistica.
[COARSE PARTICULATE MATTER AIR POLLUTION AND HOSPITAL
ADMISSIONS FOR CARDIOVASCULAR AND RESPIRATORY DISEASES AMONG MEDICARE
PATIENTS. JAMA 2008; 299:2172-9]
IPERTENSIONE
E IPERLIPIDEMIA E RETINOPATIA VASCOLARE
Secondo i risultati di una nuova metanalisi, la pressione alta e l'iperlipidemia
non sono solo fattori di rischio cardiovascolare, ma sembrano anche aumentare
il rischio di sviluppare occlusione venosa retinica (retinal vein occlusion,
RVO). La metanalisi ha incluso 21 studi, complessivamente 2916 pazienti
con VRO e 28.646 controlli. I dati sono stati aggregati per stimare il
rischio attribuibile alla popolazione. I ricercatori hanno mostrato che
i soggetti ipertesi hanno un rischio 3,5 volte più alto dei soggetti
normotesi, mentre in coloro che hanno elevati livelli di colesterolo il
rischio era 2,5 volte maggiore. Si osservava solo una modesta correlazione
tra RVO e diabete mellito. In termini di rischio attribuibile, circa il
50% della patologia retinica era attribuibile all'ipertensione, il 20%
all'iperlipidemia e il 5% al diabete mellito. Resta ancora da determinare
se il controllo pressorio o la riduzione dei livelli lipidici possa migliorare
l'acuità visiva ed avere effetti positivi sulle complicanze della
VRO.
[RETINAL VEIN OCCLUSION AND TRADITIONAL RISK FACTORS
FOR ATHEROSCLEROSIS. Arch Ophthalmol 2008; 126:692-699]
CORONARY
CALCIUM COVERAGE SCORE E ATEROSCLEROSI
Un nuovo punteggio per la valutazione della calcificazione coronarica
(coronary calcium score, CCS), capace di descrivere la distribuzione
spaziale della placca nella carotide, è associato allo sviluppo
di eventi coronarici. Le misurazioni precedenti di calcificazione (come
l'Agatston score) fornivano una misura complessiva del quadro aterosclerotico
ma questo nuovo metodo sembra più efficace nel predire il rischio
di eventi cardiovascolari. I dati sono stati ottenuti dallo studio MESA,
che includeva uomini e donne di età compresa tra 65 e 84 anni.
I ricercatori hanno confrontato i dati di 3252 partecipanti con calcificazione
coronarica e di 3416 soggetti senza calcificazioni. Dopo un follow-up
mediano di 41 mesi, il nuovo CCS era associato ad ipertensione, diabete
e dislipidemia; inoltre era un miglior predittore di eventi CV delle altre
misurazioni del calcio coronarico: un aumento di due volte del CCS corrispondeva
ad un rischio di malattie coronariche maggiore del 34%, mentre il raddoppio
dell'Agatston score o del calcium mass score comporta un
rischio più alto del 14 % e dell'11% rispettivamente.
[CORONARY CALCIUM COVERAGE SCORE: DETERMINATION, CORRELATES,
AND PREDICTIVE ACCURACY IN THE MULTI-ETHNIC STUDY OF ATHEROSCLEROSIS.
Radiology 2008; 247:669-678]
OBESITÀ
E FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE E MALATTIE VASCOLARI SUBCLINICHE
Nonostante il problema della diffusione dell'obesità sia oggetto
di attenzioni, la sua prevalenza nei gruppi etnici e gli effetti sul rischio
cardiovascolare non sono stati ancora chiariti. A tale scopo sono stati
analizzati 6814 soggetti tra 45 e 84 anni, partecipanti allo studio MESA.
Un'ampia proporzione di bianchi, americani africani ed ispanici erano
sovrappeso (60-85%) od obesi (30-50%), mentre le percentuali fra i cinesi
americani erano inferiori (rispettivamente 33% e 5%). Nella valutazione
dell'associazione tra caratteristiche antropometriche e fattori di rischio
CV, uso di farmaci e malattia vascolare subclinica, un alto indice di
massa corporea era correlato con un quadro pressorio, lipidico e glicemico
peggiore e con una maggior incidenza di malattia vascolare subclinica,
nonostante l'alta prevalenza di trattamenti farmacologici dedicati. Queste
associazioni persistevano dopo correzione per i tradizionali fattori di
rischio e non mostravano differenze tra gruppi etnici.
[THE IMPACT OF OBESITY ON CARDIOVASCULAR DISEASE RISK
FACTORS AND SUBCLINICAL VASCULAR DISEASE. THE MULTI-ETHNIC STUDY OF ATHEROSCLEROSIS.
Arch Intern Med 2008;168:928-935]
SINDROME
METABOLICA E MALATTIE CARDIOVASCOLARI E DIABETE NEGLI ANZIANI
Una nuova analisi di due studi prospettici ha osservato che la sindrome
metabolica (SM) è associata al rischio cardiovascolare nell'età
anziana. In questa indagine SM e i suoi 5 determinanti sono stati correlati
al rischio di eventi cardiovascolari e di diabete di tipo 2 in 4812 individui
non diabetici tra 70 e 82 anni di età, partecipanti al trial PROSPER.
I risultati sono stati confermati in un secondo studio prospettico, il
BRHS, su 2737 uomini non diabetici tra 60 e 79 anni. In 3,2 anni
di follow-up si sono verificati 772 casi di malattie cardiovascolari e
287 casi di diabete. In PROSPER, SM non era associata ad un maggior
rischio di CVD, ma era correlata ad un rischio di diabete quattro volte
maggiore. In BRHS, SM era associata ad un modesto aumento del rischio
di CVD e ad un rischio di diabete sette volte maggiore. Da questa analisi
emerge che SM è correlata al diabete di tipo 2, mentre l'associazione
con le CVD è debole o assente nella popolazione anziana.
[CAN METABOLIC SYNDROME USEFULLY PREDICT CARDIOVASCULAR
DISEASE AND DIABETES? OUTCOME DATA FROM TWO PROSPECTIVE STUDIES. Lancet,
pubblicato on line il 21 maggio 2008]
ADERENZA
ALLA DIETA MEDITERRANEA E RISCHIO DI DIABETE
I soggetti che seguono la dieta mediterranea hanno meno probabilità
di sviluppare diabete. Questo è quanto suggeriscono i risultati
di uno studio in cui i benefici di questo regime alimentare sembrano particolarmente
pronunciati in persone ad alto rischio di sviluppare diabete a causa di
peso, storia familiare, pressione arteriosa o altri fattori di rischio.
Su 13.380 soggetti arruolati tra il 1999 e il 2007, 33 hanno sviluppato
diabete in 58.918 anni-persona di follow-up. Considerando il rischio di
diabete in relazione all'aderenza alla dieta mediterranea, valutata tramite
un esauriente questionario, è emerso che le persone che seguivano
più strettamente queste abitudini avevano un minor rischio di sviluppare
diabete mentre i soggetti più aderenti mostravano un rischio di
diabete minore dell'83%. Anche dopo aggiustamento, un valore di aderenza
alla dieta superiore di due punti significava una riduzione del rischio
del 35%.
[ADHERENCE TO MEDITERRANEAN DIET AND RISK OF DEVELOPING
DIABETES: PROSPECTIVE COHORT STUDY. BMJ , pubblicato on line il 29 maggio
2008]
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FILTRAZIONE
GLOMERULARE, ALBUMINURIA E RISCHIO DI MORTALITÀ CARDIOVASCOLARE
E PER TUTTE LE CAUSE
Sulla base dell'osservazione che il rischio di morte per cause cardiovascolari
tra i soggetti affetti da nefropatia cronica è maggiore che tra
i malati di insufficienza renale, e stato recentemente proposto l'utilizzo
della patologia renale cronica nella stratificazione del rischio CV e
nelle linee guida di trattamento. La classificazione della nefropatia
utilizza informazioni combinate sul danno renale, rilevato dalla misurazione
dell'albuminuria, e sulla riduzione della filtrazione, definita dalla
velocità di filtrazione glomerulare (glomerular filtration rate,
GFR). Allo scopo di valutare l'impatto combinato della ridotta GFR e dell'albuminuria
sul rischio di morte CV e per tutte le cause, è stata analizzata
la mortalità dal 1988 al 2000 di 14.586 partecipanti al NHANES
III. Dai risultati emerge che entrambi i fattori predicono la mortalità
in modo indipendente e che la presenza concomitante di entrambi è
associata ad un rischio molto più alto. La correlazione permane
anche dopo aggiustamento per potenziali confondenti.
[GLOMERULAR FILTRATION RATE, ALBUMINURIA, AND RISK OF
CARDIOVASCULAR AND ALL-CAUSE MORTALITY IN THE US POPULATION. Am J Epidemiol
2008; 167:1226-1234]
SOFFIO
CAROTIDEO E RISCHIO DI INFARTO MIOCARDICO O MORTE CARDIOVASCOLARE
Per analizzare l'efficacia dei soffi carotidei nel predire l'infarto miocardico
e la morte cardiovascolare è stata condotta una metanalisi che
ha raccolto 22 articoli tra il 1977 e il 2004, complessivamente 17.295
pazienti (62.413 anni-persona di follow-up). Il tasso di infarto nei pazienti
con soffi carotidei era 3,69 (IC al 95% 2,97-5,40) per 100 anni-persona,
rispetto a 1,86 (0,24-3,48) per 100 anni-persona nei soggetti senza soffi.
Anche i tassi di morte per cause CV erano più alti tra i primi
che non tra questi ultimi (2,85 [2,16-3,54] per 100 anni-persona vs 1,11
[0,45-1,76] per 100 anni-persona). Nei quattro trial nei quali era possibile
il confronto diretto dei due gruppi di pazienti, gli odds ratio erano
2,15 (1,67-2,78) per l'infarto miocardico e 2,27 (1,49-3,49) per la morte
cardiovascolare. L'auscultazione dei soffi carotidei nei soggetti a rischio
coronarico può quindi aiutare ad identificare coloro che trarrebbero
maggior beneficio da un intervento aggressivo per la modificazione del
rischio cardiovascolare.
[CAROTID BRUITS AS A PROGNOSTIC INDICATOR OF CARDIOVASCULAR
DEATH AND MYOCARDIAL INFARCTION: A META-ANALYSIS. The Lancet 2008; 371:1587-1594]
MORBO
DI PARKINSON E MORTALITÀ
Sebbene la più alta mortalità associata al morbo di Parkinson
(Parkinson disease, PD) sia riportata in modo consistente negli
studi epidemiologici, non c'è accordo sull'aumento del rischio
di morte. L'ampia variabilità dei dati può essere spiegata
da diversi fattori, tra cui la presenza di patologie concomitanti, la
selezione dei pazienti e la durata del follow-up. Perciò è
stato condotto uno studio di coorte sulla mortalità di pazienti
affetti da PD e controlli accoppiati per età e per malattie concomitanti
l momento della diagnosi di PD. La popolazione in studio era innestata
in un ampia coorte prospettica di maschi con un follow-up maggiore di
23 anni, in cui le morti venivano confermate dalle registrazioni mediche.
Il PD era associato ad un rischio di morte 2-3 volte più alto;
i soggetti affetti di PD avevano un rischio significativamente più
alto di morte per ictus, malattia psichiatrica e cardiopatie. L'aumento
del rischio di morte era evidente per qualsiasi durata della malattia,
anche inferiore a 2 anni, e non diminuiva significativamente con l'età.
[PARKINSON DISEASE AND RISK OF MORTALITY: A PROSPECTIVE
COMORBIDITY-MATCHED COHORT STUDY. Neurology 2008; 70:1423-30]
INTERRUZIONE
DELL'ABITUDINE AL FUMO E MORTALITÀ
Il fumo è associato ad un aumento del rischio di mortalità
per tutte le cause e causa-specifica, ma l'impatto dell'interruzione è
tuttora poco chiaro. Questo studio ha seguito quasi 105 mila donne tra
i 34 e i 59 anni, infermiere arruolate nel Nurses' Health Study,
per 24 anni, dal 1980 al 2004. Nell'arco di tempo considerato si sono
verificati circa 12.500 decessi: il 35,9% tra chi non aveva mai fumato,
il 28,9% tra chi stava fumando e il 35,2% tra chi aveva smesso. Tra le
fumatrici, rispetto alle non fumatrici, si è registrato un rischio
di morte sette volte più alto per tumori e tre volte più
alto per tutte le cause. L'interruzione del fumo migliora le prospettive
anche nel breve termine, ma in modo variabile a seconda della patologia
considerata. Se infatti basta poco tempo per eliminare i fattori di rischio
che determinano malattie cardiovascolari e la salute dei vasi sanguigni
migliora sensibilmente e in breve, per recuperare la funzionalità
polmonare servono almeno 20 anni.
[SMOKING AND SMOKING CESSATION IN RELATION TO MORTALITY
IN WOMEN. JAMA 2008; 299:2037-2047]
INDICE
DI MASSA CORPOREA IN ADOLESCENZA E MORTALITÀ CAUSA-SPECIFICA
Sebbene l'aumento dell'incidenza di obesità nei bambini e negli
adolescenti sia una problematica nota, gli effetti a lungo termine in
questa fascia di età devono ancora essere chiariti. Infatti, nonostante
il numero di evidenze, permangono opinioni contrastanti sul tipo di relazione
esistente tra indice di massa corporea e mortalità. Scopo di questo
studio era usare il materiale raccolto attraverso il programma per lo
screening della tubercolosi in Norvegia, con un follow-up esteso e dati
sulla mortalità, per indagare l'associazione tra IMC e mortalità
causa-specifica in una coorte di 227.000 uomini e donne tra i 14 e i 19
anni di età al basale. Le analisi hanno rivelato un maggior rischio
di morte per malattie del sistema circolatorio, soprattutto cardiopatie
ischemiche, o per patologie endocrine, nutrizionali o metaboliche nei
soggetti con il più alto IMC.
In questa categoria era superiore anche il rischio di morte per malattie
respiratorie, cancro al colon e morta improvvisa.
[BODY MASS INDEX IN ADOLESCENCE IN RELATION TO CAUSE-SPECIFIC
MORTALITY: A FOLLOW-UP OF 230,000 NORWEGIAN ADOLESCENTS. Am J Epidemiol,
pubblicato o n line il 13 maggio 2008]
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INDICE
DI MASSA CORPOREA E CIRCONFERENZA VITA E RISCHIO DI CANCRO AL POLMONE
L'obesità è associata ad un aumento della mortalità
totale e per malattie coronariche, diabete e alcuni tumori; tuttavia,
le conseguenze sulla salute di diversi valori di indice di massa corporea
sono tuttora vivamente dibattuti. Il cancro al polmone è uno degli
esiti per cui il ruolo dell'IMC richiede un chiarimento, ma la valutazione
di questa associazione è difficile a causa di complesse relazioni
tra l'abitudine al fumo e il peso corporeo nel tempo. Questo studio ha
utilizzato i dati dell'Women's Health Initiative (WHI),
in cui peso, altezza, circonferenza vita e circonferenza fianchi sono
stati misurati al basale, e che ha raccolto informazioni riguardo l'andamento
ponderale nel corso della vita, l'abitudine al fumo e altri potenziali
fattori confondenti. In questa ampia coorte di 161.809 donne in menopausa,
IMC, peso e circonferenza vita al basale erano inversamente associati
con il rischio di tumore al polmone nei fumatori correnti, non negli ex
o nei non fumatori. Dopo reciproco aggiustamento, IMC era inversamente
associato al rischio nei fumatori correnti o negli ex, mentre la circonferenza
vita mostrava un'associazione positiva.
[BODY MASS INDEX AND WAIST CIRCUMFERENCE IN RELATION
TO LUNG CANCER RISK IN THE WOMEN'S HEALTH INITIATIVE. Am J Epidemiol,
pubblicato on line il 15 maggio 2008]
LDL
OSSIDATE E SINDROME METABOLICA
In questo nuovo studio con base di popolazione, un'alta concentrazione
di LDL ossidate era associata ad una maggior incidenza di sindrome metabolica
e dei suoi determinanti. Lo studio CARDIA ha seguito uomini e donne
tra 18 e 30 anni di età al basale (1985-1986), per 20 anni; le
LDL ossidate sono state misurate anche in un gruppi di quindicenni (2000-2001),
partecipanti allo studio (YALTA). I risultati mostrano che 243
(12,9%) dei 1889 soggetti inclusi in questa analisi hanno sviluppato SM.
Dopo aggiustamento per diverse variabili, le LDL ossidate mostravano una
relazione con l'incidenza di SM e con tre dei cinque determinanti (obesità
addominale, iperglicemia e ipertrigliceridemia). Queste associazioni rimanevano
significative dopo aggiustamento per proteina C-reattiva, adiponectina
e terapie antipertensiva, antidiabetica e ipolipemizzante. Per contro,
il colesterolo LDL mostrava solo una limitata correlazione con la sindrome
metabolica, che tendeva a scomparire nel modello aggiustato comprendente
le LDL ossidate.
[ASSOCIATION BETWEEN CIRCULATING OXIDIZED LOW-DENSITY
LIPOPROTEIN AND INCIDENCE OF THE METABOLIC SYNDROME. JAMA 2008; 299:2287-2293]
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