NOVEL
AND CONVENTIONAL BIOMARKERS FOR PREDICTION OF INCIDENT CARDIOVASCULAR
EVENTS IN THE COMMUNITY
Melander O, Newton-Cheh C, Almgren P, et al.
JAMA 2009; 302:49-57
RIASSUNTO
CONTESTO Precedenti studi hanno mostrato risultati contrastanti
in merito alle informazioni aggiuntive eventualmente fornite alla valutazione
del rischio cardiovascolare dall'analisi di nuovi biomarker.
OBIETTIVO Valutare l'utilità dei biomarker nella predizione
del rischio cardiovascolare in aggiunta ai tradizionali fattori di rischio.
DISEGNO, SETTING E PARTECIPANTI Studio di coorte su 5067 partecipanti
(età media 58 anni; 60% donne) senza malattie cardiovascolari dal
Malmö, Sweden, sottoposti ad un indagine basale tra il 1991 e il
1994. Ai partecipanti sono stati misurati la proteina C reattiva (PCR),
la cistatina C, la fosfolipasi-2 associata alla lipoproteina (Lp-PLA2),
la regione meso dell'adrenomedullina (MR-proADM) e il peptide natriuretico
MR-proANP ed è stato effettuato un follow-up fino al 2006 usando
i registri svedesi di dimissione ospedaliera e le cause di morte e di
primi eventi cardiovascolari (infarto, ictus e attacco coronarico acuto).
END POINT PRIMARIO Eventi cardiovascolari e coronarici incidenti.
RISULTATI Durante un follow-up mediano di 12,8 anni, sono stati
osservati 418 eventi cardiovascolari e 230 eventi coronarici. I modelli
con i fattori di rischio convenzionali avevano una statistica C (indice
della capacità predittiva) di 0,758 (IC al 95% 0,734-0,781) e 0,760
(0,730-0,789) per eventi cardiovascolari e coronarici, rispettivamente.
I biomarker inseriti in modelli statistici di eliminazione a ritroso erano
PCR e N-BNP per gli eventi cardiovascolari e MR-proADM e N-BNP per gli
eventi coronarici, e aumentavano la statistica C di 0,007 (p=0,04) e 0,009
(p=0,08), rispettivamente. La proporzione di partecipanti riclassificati
era modesta (8% per il rischio cardiovascolare, 5% per il rischio coronarico).
Il miglioramento netto nella riclassificazione non era significativo,
né per gli eventi cardiovascolari (0,0%; IC al 95% da -4,3% a 4,3%)
né per gli eventi coronarici (4,7%; da -0,76% a 10,1%). Sono stati
osservati miglioramenti più marcati in analisi ristrette a individui
a rischio intermedio (eventi cardiovascolari 7.4%; IC al 95% 0,7%-14,1%;
p=0,03; eventi coronarici 14,6%; 5,0%-24,2%; p=0,003). Tuttavia, una riclassificazione
corretta era quasi completamente limitata al passaggio a una classe di
rischio inferiore di individui senza eventi, piuttosto che al passaggio
a una classe di rischio superiore di individui con eventi.
CONCLUSIONI Alcuni biomarker selezionati possono essere utili a
predire il rischio di futuri eventi cardiovascolari, ma il guadagno rispetto
alla valutazione con i tradizionali fattori di rischio è minimo.
La classificazione del rischio migliorava negli individui a medio rischio,
per lo più grazie all'identificazione di quelli con minor probabilità
di sviluppare eventi.
Biomarker singoli ed eventi cardiovascolari e coronarici
Biomarker |
Hazard
Ratio
aggiustato per multivariabili
|
p
|
Primo
evento cardiovascolare |
CRP |
1,19
|
0,002
|
Cistatina
C |
1,13
|
0,006
|
MR-proADM |
1,12
|
0,04
|
MR-proANP |
1,12
|
0,04
|
NT-proBNP |
1,22
|
<0,001
|
Primo
evento coronarico |
Cistatina
C |
1,15
|
0,006
|
MR-proADM |
1,21
|
0,002
|
NT-proBNP |
1,28
|
<0,001
|
BIOMARKERS
AND CARDIOVASCULAR DISEASE. DETERMINING CAUSALITY AND QUANTIFYING CONTRIBUTION
TO RISK ASSESSMENT
Shah SH and de Lemos JA
JAMA 2009; 302:92-93
In un editoriale di accompagnamento, Dr Svati H Shah (Duke University
Medical Center, Durham, NC) e Dr James A de Lemos (University of Texas
Southwestern Medical Center, Dallas) suggeriscono diversi possibili fattori
che potrebbero spiegare i risultati di questo studio, compreso il fatto
che la popolazione in studio era prevalentemente a basso rischio e ciò
comporta una minor capacità predittiva dei biomarker indagati.
Inoltre, tali parametri sono migliori predittori di mortalità e
di insufficienza cardiaca, che non degli end point considerati. Sottolineano
la possibilità che l'analisi dei biomarker sia utile per alcuni
pazienti, ad esempio nel caso in cui il medico sia indeciso circa la terapia
da prescrivere. Tuttavia, perché la misurazione dei biomarker possa
divenire davvero utile nella comune pratica clinica è necessaria
l'identificazione di altri parametri correlati al rischio di sviluppare
CVD.
GENETIC
LOCI ASSOCIATED WITH C-REACTIVE PROTEIN LEVELS AND RISK OF CORONARY HEART
DISEASE
Elliott P, Chambers JC, Zhang W, et al.
JAMA 2009; 302:37-48
In un altro articolo pubblicato da JAMA, Dr Paul Elliott (Imperial College
London, UK) e colleghi hanno osservato una certa concordanza tra genotipi
di PCR, livelli di PCR e malattie coronariche. Usando uno studio di associazione
genomica (genomewide association study, GWAS) i ricercatori hanno
identificato un polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) nel gene PCR fortemente
associato ai livelli di PCR. Una review sistematica di 35 studi osservazionali
ha evidenziato una riduzione del rischio di malattia coronarica con una
diminuzione dei livelli di PCR. Inoltre è stato condotto un esperimento
di randomizzazione mendeliana (trasmissione casuale dei geni) in cui questo
SNP non risultava associato a coronaropatie.
Studi come quelli di Elliott et al. e di Melander et al.
aiuteranno a determinare quali biomarker sono maggiormente correlati al
rischio cardiovascolare e rappresentano quindi target più utili
per la terapia farmacologica o fattori influenzanti la scelta di un trattamento
tra diverse possibilità terapeutiche.
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