PUBBLICATA UNA METANALISI CUMULATIVA CHE ANALIZZA
IL RISCHIO DI EVENTI CARDIOVASCOLARI DI ROFECOXIB



RISK OF CARDIOVASCULAR EVENTS AND ROFECOXIB: CUMULATIVE META-ANALYSIS
Jüni P, Nartey L, Reichenbach S, et al.
Lancet 2004; 364:2021-2029


RIASSUNTO
CONTESTO L'inibitore della ciclo-ossigenasi 2, rofecoxib, è stato recentemente ritirato dal mercato a causa di importanti effetti avversi cardiovascolari. Nel 2000 venne osservato un aumento del rischio di infarto del miocardio (IM) nell'ambito dello studio VIGOR (Vioxx Gastrointestinal Outcomes Research study), che fu però attribuito ad un effetto cardioprotettivo di naprossene (farmaco di confronto), piuttosto che ad un effetto cardiotossico di rofecoxib. Sono state usate metanalisi standard e per effetti casuali cumulativi di trial clinici controllati e di studi osservazionali per stabilire se fossero disponibili evidenze consistenti di effetti avversi di rofecoxib prima di settembre 2004.
METODI E' stata condotta una ricerca bibliografica sui database ed i file rilevanti della Food and Drug Administration americana. Sono stati inclusi tutti i trial randomizzati controllati condotti su pazienti con disordini muscoloscheletrici cronici che confrontavano l'efficacia di rofecoxib con quella degli anti-infiammatori non steroidei (NSAID) o con il placebo, e gli studi di coorte e caso-controllo sul rischio cardiovascolare e naprossene. L'IM costituiva l'end point primario della metanalisi.
RISULTATI Sono stati identificati 18 trial e 11 studi osservazionali. Alla fine del 2000 (52 IM, 20.742 pazienti) il rischio relativo calcolato sulla base dei risultati dei trial era 2,30 (IN 95% 1,22-4,33; p=0,01), un anno dopo (64 eventi, 21.432 pazienti) era 2,24 (1,24-4,20; p=0,007). Le evidenze che l'aumento del rischio dipendesse dal gruppo controllo (placebo, NSAID diversi dal naprossene, o naprossene; p=0,41), o dalla durata dello studio (p=0,82) erano deboli. Negli studi osservazionali, l'effetto cardioprotettivo di naprossene era di piccola entità (stima combinata 0,86 [0,75-0,99] e non avrebbe potuto spiegare i risultati del VIGOR.
INTERPRETAZIONE Questi risultati indicano che rofecoxib avrebbe dovuto essere ritirato molti anni prima. E' necessario che venga fatto chiarezza sulle ragioni per cui la casa produttrice e le autorità non abbiano monitorato continuamente gli eventi avversi e valutato complessivamente le evidenze che si andavano accumulando.

COMMENTO
L'editoriale relativo alla metanalisi di Richard Horton, pubblicato su Lancet, cita testualmente: "The licensing of Vioxx and its continued use in the face of unambiguous evidence of harm have been public-health catastrophes". … "With Vioxx, Merck and the FDA acted out of ruthless, short-sighted, and irresponsible self-interest".

La Merck ha ritirato l'inibitore della ciclossigenasi-2 dal mercato mondiale per reazioni avverse cardiovascolari osservate nell'ambito dello studio APPROVe (Adenomatous Polyp Prevention on Vioxx) (vedi news di ottobre 2004)
Juni e colleghi, dell'Università di Berna, hanno condotto una revisione della letteratura esaminando 63 report ed effettuato una metanalisi sui risultati di 18 trials randomizzati, sottoposti alla FDA tra il 1998 e il 2001, che confrontavano efficacia e sicurezza di rofecoxib con placebo o gli antinfiammatori non steroidei (NSAID) in pazienti con disturbi muscolo-scheletrici cronici. Essi hanno anche esaminato i dati di 11 studi osservazionali. Il periodo di follow-up variava dalle 4 settimane a più di 1 anno.
L'infarto miocardico (IM) fatale e non fatale era l'end point primario; sono stati riportati 64 eventi, di cui 52 nei gruppi in rofecoxib vs 12 nei diversi gruppi controllo rischio relativo combinato: 2,24; IC al 95% 1,24-4,02), con evidenze minori di eterogeneità tra trial. La metanalisi cumulativa ha dimostrato che il rischio aumentato di IM iniziò ad essere evidente nel 2000, momento in cui 14.247 pazienti erano stati randomizzati e si erano verificati 44 eventi. Alla fine di questo anno, con 52 IM in 20.742 pazienti, il rischio relativo era diventato 2,30 (1,22-4,33, p=0,01). L'effetto era sia sostanziale che molto difficilmente modificabile.
Quindi, secondo gli autori, già nel 2000 si avevano evidenze che dimostravano un raddoppiamento del rischio di IM conseguente all'uso di rofecoxib.
Fino alla fine del 2001, quando risultavano disponibili più dati sugli end point cardiovascolari, la stima del rischio rimase stabile, pur aumentando la precisione statistica. Dopo il 2001 non vennero più effettuati trial con rofecoxib in questa tipologia di pazienti.
L'aumento del rischio di IM non variava con il controllo di riferimento (placebo, naprossene o NSAID non naprossene), con il dosaggio di farmaco utilizzato (12,5 mg, 25 mg, e 50 mg), e non dipendeva dalla durata del trattamento. Quindi, sempre secondo gli autori, anche pazienti in terapia da pochi mesi arano a rischio maggiore di sviluppare IM, a differenza di quanto affermato da Merck riguardo l'esistenza di un tempo di latenza di 18 mesi.
I rischi sembrano essere ancora maggiori negli 8 studi in cui gli eventi sono stati rivisti da una commissione esterna (RR 3,88). L'utilizzo di una revisione indipendente degli end point dovrebbe essere una regola per tutti i trial clinici, e le eccezioni dovrebbero essere giustificate.
Poiché tutte queste informazioni erano presenti nel database dell'FDA, gli autori si domandano se analisi di questo tipo non dovrebbero essere condotte routinariamente dall'agenzia che può accedere in modo più appropriato ai dati originali.
Nell'ambito dello stesso studio è stata condotta una valutazione per verificare l'evidenza di un effetto cardioprotettivo esercitato da naprossene. Questo effetto era stato proposto sulla base dei risultati dello studio VIGOR, nel quale nel gruppo con naprossene si era verificato un numero minore di IM, rispetto al gruppo in rofecoxib.
I dati combinati dai trial e dagli studi osservazionali indicano che se esiste un effetto protettivo del naprossene, è probabilmente molto piccolo e, come già puntualizzato da altri autori, non sufficiente per spiegare i risultati del VIGOR.

Merck ha pubblicato una critica scientifica dettagliata ai risultati di questa metanalisi nella quale spiega perché non concorda con le conclusioni degli autori.
La principale critica mossa asserisce che la metanalisi viola il principio basilare del combinare "il simile con il simile"; gli autori hanno infatti combinato i dati di studi con 3 tipi di comparatori (placebo, naprossene e NSAID non naprossene), giustificando la scelta con un test di eterogeneità tra gruppi non significativo, scelta che Merck ritiene scientificamente inappropriata. E' noto che i comparatori considerati esercitano effetti biologici differenti sulla funzionalità piastrinica ed i dati dimostrano ampie differenze del rischio relativo tra i gruppi di confronto. Quindi, secondo Merck, la combinazione inappropriata di dati eterogenei invaliderebbe i risultati della metanalisi.

Il 2 novembre l'FDA ha pubblicato sul suo sito i risultati di una studio comparativo tra rofecoxib, celecoxib e altri NSAID, precedentemente annunciato dalla stampa (Wall Street Journal) ed in fase di valutazione da parte della rivista Lancet. In esso si riporta un rischio cardiovascolare 3,7 volte superiore nel gruppo con la dose più alta di rofecoxib (>25 mg/die) rispetto agli altri gruppi e 1,5 volte con la dose standard.
Altre informazioni sono deducibili da questo report, quali ad esempio la mancanza di effetto protettivo da parte dei NSAID convenzionali. Si tratta tuttavia di uno studio caso-controllo, retrospettivo, di ampie dimensioni, soggetto a tutte le limitazioni dei trial non randomizzati e quindi i risultati non sono estrapolabili al 100%, anche se alcuni problemi di confondenti e di bias sono limitati dal fatto che vengono confrontati nell'ambito dello stesso studio due inibitori delle COX-2 in relazione al rischio cardiaco. In ogni caso i risultati non devono essere presi come prova definitiva della sicurezza di altri COX-2.