VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA CARDIOVASCOLARE DEGLI INIBITORI SELETTIVI DELLA CICLOSSIGENASI-2


COX-2 INHIBITORS AND THE CARDIOVASCULAR SYSTEM: IS THERE A CLASS EFFECT?
Bakr M, Waller DG
Br J Cardiol 2005; 12:387-391


Tutti i farmaci antinfiammatori non steroidei (NSAIDs) esplicano numerosi effetti terapeutici attraverso l'inibizione dell'enzima cicloossigenasi ed il conseguente blocco della conversione dell'acido arachidonico in prostaglandine e trombossano A2. Questo meccanismo d'azione provoca l'insorgenza di effetti indesiderati, come tossicità gastrointestinale e ritenzione di acqua e sali.
L'enzima ciclossigenasi è presente in numerosi isoforme, in particolare si ritiene che l'isoenzima COX-1 sia quello maggiormente coinvolto nella protezione della mucosa gastrica. Tale aspetto importante per la fisiologia del tratto gastrointestinale sembra essere preservato con l'assunzione di farmaci inibitori selettivi della COX-2 (coxib), i quali inibiscono preferenzialmente la produzione di prostacicline, responsabili della vasodilatazione e dell'inibizione dell'aggregazione piastrinica. Il blocco selettivo della produzione di prostaciclina PGI2 esercitato dai coxib potrebbe causare l'insorgenza di uno stato pro-trombotico. Se da un lato uno studio recente ha sollevato la questione della sicurezza cardiovascolare di naprossene, molti dati suggeriscono che i farmaci antinfiammatori convenzionali non hanno impatto sul rischio di eventi tromboembolici vascolari o addirittura si propongono come cardioprotettivi (comunque meno rispetto all'aspirina).

La controversia sugli effetti cardiovascolari dei coxib ha preso piede dal momento della pubblicazione dello studio VIGOR nel 2001, dove si suggerisce che rofecoxib aumenta il rischio di infarto del miocardio (IM). Lo studio era stato disegnato allo scopo di confrontare la diversa tossicità gastrica di rofecoxib vs naprossene. Dai dati raccolti emerse che il trattamento con rofecoxib, se confrontato con naprossene, era associato ad un aumento del rischio di infarto del miocardio.

Nel 2001 è stata condotta una meta-analisi di 23 studi su rofecoxib controllati con placebo o con NSAIDs, che ha valutato in tutto 26.000 pazienti. I ricercatori hanno concluso che la terapia con rofecoxib è associata ad un aumento del rischio di eventi trombotici cardiovascolari quando confrontata con naprossene, ma non se confrontata con gli altri antinfiammatori non steroidei non selettivi (ibuprofene, diclofenac e nabumetone). Tuttavia, molti di questi studi hanno avuto una breve durata (1-3 mesi) ed i successivi studi osservazionali a lungo termine hanno cominciato a rilevare un differente pattern di rischio.

I dati del New England Healthcare Claims Database (2004) hanno reso possibile un confronto tra gli eventi tromboembolici verificatisi in pazienti ipertesi trattati con NSAIDs, celecoxib o rofecoxib. Il rischio relativo confrontato con i non utilizzatori di questi farmaci era 1,11 per i non selettivi (p=0,4), 1,35 per celecoxib (p=0,06) e 2,45 per rofecoxib (p<0,0001).

Ray e collaboratori hanno esaminato nel 2002 il Tennessee Medicaid Programme Database per valutare gli effetti cardiovascolari di rofecoxib correlati alla dose. La conclusione a cui sono giunti mostrava che i pazienti che assumevano dosi di rofecoxib superiori a 25 mg/die avevano un rischio 1,7 volte superiore rispetto ai non utilizzatori di avere un evento coronarico grave; non sono state invece rilevate evidenze di aumento del rischio tra gli utilizzatori di dosi <25 mg/die o tra gli utilizzatori di NSAIDs.

Rofecoxib è stato ritirato dal mercato nel settembre 2004 in seguito alla valutazione di sicurezza dei dati forniti dai tre anni di follow up dello studio APPROVe.
Per quanto riguarda invece la sicurezza di celecoxib la questione non è stata ancora del tutto risolta, nonostante vi siano segnali che lasciano intravedere l'esistenza di una problematica (anche se non estesa come quella di rofecoxib).
I dati sugli altri coxib sono meno robusti, in parte per i brevi periodi di follow-up e in parte per l'esiguo numero di pazienti esaminati.

Le conoscenze attualmente disponibili indicano che rofecoxib possiede, rispetto agli altri coxib, un rischio maggiore di indurre eventi trombotici cardiovascolari, edema e mancato controllo della pressione arteriosa nei pazienti ipertesi quando viene confrontato con i farmaci antinfiammatori non steroidei classici. L'aumento del rischio cardiovascolare è più evidente e marcato dopo circa 18 mesi d'uso e molti dei coxib più recenti non sono stati adeguatamente studiati per un periodo così prolungato.

Ad ogni modo, i dati "emergenti" segnalano che probabilmente l'aumento del rischio cardiovascolare è un effetto di classe, sebbene il rischio assoluto con le molecole diverse da rofecoxib sia piccolo. Per alcune molecole (es celecoxib e valdecoxib) l'incremento del rischio potrebbe essere correlato alla dose, con un massimo a dosi di farmaco superiori a quelle normalmente prescritte per il trattamento dell'artrite.

Attualmente il Medicines and Healthcare Regulatory Agency (MRHA) raccomanda di evitare, dove possibile, la terapia con tutti i coxib in pazienti con malattie ischemiche note o ad alto rischio di svilupparle. Inoltre, raccomanda che venga prescritta la dose più bassa per la minore durata possibile.

 

; bassa per la minore durata possibile.