BRADICARDIA E MEMANTINA



DOES MEMANTINE INDUCE BRADYCARDIA? A STUDY IN THE FRENCH PHARMACOVIGILANCE DATABASE
Gallini A, Sommet A, Montastruc JL
Pharmacoepidemiol Drug Saf, pubblicato on line il 23 maggio 2008



I dati suggeriscono che la memantina possa aumentare il rischio di bradicardia nell'uso in associazione ad inibitori delle colinesterasi e persino indurre bradicardia se usata da sola.

RIASSUNTO

OBIETTIVO Condurre una revisione delle reazioni avverse da farmaco (ADR) cardiovascolari con il farmaco anti-parkinson memantina riportate nel database francese di farmacovigilanza.
METODI E' stata effettuata un'analisi di tutte le osservazioni pervenute al DB entro maggio 2007 e riguardanti ADR cardiovascolari riferite a memantina. Sono state registrate le caratteristiche dei pazienti (età, sesso e patologie) e delle ADR (natura, gravità, tempo di insorgenza, evoluzione, imputabilità).
RISULTATI Dopo esclusione di 16 casi, per i quali non era chiaramente determinabile l'origine cardiaca, sono state registrate 36 ADR cardiache da memantina dalla sua commercializzazione in Francia (luglio 2003). Queste ADR consistevano in 18 casi di bradicardia e 18 casi di differenti reazioni cardiovascolari (ipotensione ortostatica con caduta [6], perturbazioni all'ECG [4], svenimento [2], malessere con ipotensione arteriosa [2], ipotensione arteriosa e insufficienza renale acuta[1], insufficienza cardiaca fatale [1], morte improvvisa [2]). Tra i 18 casi di bradicardia, 7 avevano come unico farmaco sospetto memantina e tutti si sono risolti con la sospensione del trattamento.
CONCLUSIONI Le proprietà cardiovascolari di memantina sembrano essere complesse, ma tuttora poco chiare. Malgrado il suo disegno descrittivo e i suoi limiti, questo studio suggerisce che il farmaco per il Parkinson potrebbe determinare alcune ADR cardiache, in particolare bradicardia, attraverso un meccanismo sconosciuto.


Memantina è il primo di una nuova classe di farmaci proposti per il trattamento della malattia di Alzheimer. Si tratta di un antagonista non competitivo del recettore per l'N-metil-D-aspartato (NMDA), il recettore che viene attivato dal glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio a livello di corteccia cerebrale e ippocampo, le regioni cognitive e della memoria.
Nei soggetti affetti da demenza, la perdita di neuroni corticali sembra essere correlata ad una aumentata sensibilità o ad aumentati livelli di glutammato. Questo determina un flusso continuo di calcio all'interno dei neuroni, responsabile alla fine della morte delle cellule (fenomeno definito eccitotossicità). In questi pazienti, memantina eserciterebbe la sua azione bloccando gli effetti di livelli patologicamente elevati di glutammato, comprese le alterazioni della funzionalità neuronale1. Questo spiegherebbe l'apparente contraddizione insita nel suo meccanismo d'azione: mentre nei soggetti sani l'antagonismo nei confronti del recettore per l'NMDA può inibire l'apprendimento e la memoria a lungo termine, nei pazienti affetti da demenza il farmaco contrasta la sovrastimolazione glutaminergica che danneggia i neuroni.
Dopo somministrazione di una dose orale, memantina viene pressoché completamente assorbita, con una biodisponibilità che si avvicina al 100%. Raggiunge il picco di concentrazione plasmatica 3-7 ore dopo l'assunzione. La maggior parte del farmaco viene eliminata immodificata con le urine; la rimanente parte viene convertita in metaboliti inattivi.

Efficacia clinica
La demenza è una malattia progressiva, caratterizzata dalla perdita globale delle funzioni cognitive superiori, della memoria e della capacità di apprendimento. Con l'avanzare della malattia, le attività quotidiane risultano progressivamente compromesse e si manifestano cambiamenti radicali del comportamento. La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza (due terzi dei casi3). Meno comune è la demenza vascolare (secondaria a patologie cerebrovascolari) suggerita in genere dalla presenza di ipertensione e di una storia di ripetuti episodi di tipo ischemico. Alcuni pazienti presentano sia una demenza di tipo Alzheimer che cerebrovascolare (demenza mista).
La perdita di neuroni colinergici, e la conseguente riduzione dei livelli di acetilcolina, sono le anomalie patologiche più rilevanti riscontrate nel cervello dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer e costituiscono il razionale per il trattamento con gli inibitori della colinesterasi (donepezil, rivastigmina, galantamina). Questi farmaci, infatti, riducono la metabolizzazione dell'acetilcolina nel SNC, migliorando la trasmissione colinergica con una potenziale riduzione dei sintomi. Tuttavia, anche se tale terapia migliora il punteggio relativo alla funzione cognitiva, l'importanza pratica degli effetti prodotti dagli anticolinesterasici (miglioramento della qualità di vita, benefici per il paziente, per i congiunti e per chi lo assiste) è dubbia. Un recente studio non sponsorizzato da alcuna ditta, condotto con il donepezil nella medicina di base4 (AD2000), ha chiaramente dimostrato come i modesti benefici che il farmaco produce sui punteggi delle scale cognitive non si traducono in esiti rilevanti per la vita degli stessi pazienti come la progressione della malattia verso la disabilità o il ricovero in istituto.
L'impiego di memantina si fonda, invece, sul presupposto che i farmaci in grado di bloccare l'attivazione del recettore per l'NMDA possano produrre benefici clinicamente rilevanti nei pazienti con malattia di Alzheimer, essendo la malattia dovuta, almeno in parte, ad un'eccessiva attivazione del recettore per l'NMDA da parte del glutammato5. Il farmaco è stato studiato in pazienti con malattia di Alzheimer di grado da moderato a grave, nella demenza vascolare e nella demenza di qualunque origine ma solo la prima è l'indicazione autorizzata al momento (negli Stati Uniti è stata presentata domanda di registrazione anche nella malattia di Alzheimer di grado lieve-moderato).