EPATOTOSSICITA' DA TALIDOMIDE



HEPATOTOXICITY AS A RARE BUT SERIOUS SIDE EFFECT OF THALIDOMIDE
Levesque E, Bradette M
Ann Hematol 2009; 88:183-4



Talidomide è sempre più prescritta come trattamento per il cancro, grazie alle sue proprietà immunomodulatorie: il farmaco è oggi un trattamento di prima scelta per il mieloma multiplo, in combinazione con desametasone, e per questo l'utilizzo clinico di talidomide sta notevolmente aumentando. Accanto alla teratogenicità, i suoi maggiori effetti collaterali includono vertigini, neuropatia periferica, sonnolenza, costipazione ed eventi tromboembolici.
L'epatotossicità correlata all'uso di talidomide e lenalidomide è stata riportata come effetto collaterale raro ma grave. Questo effetto tossico è scarsamente descritto in letteratura, probabilmente a causa di casi non riportati o non univocamente riconosciuti. Finora, l'epatotossicità indotta da talidomide è stata riportata in un unico caso che non aveva evidenze di patologie epatiche.
Si descrive un caso di grave epatotossicità in seguito a trattamento con talidomide e si riporta una breve revisione della letteratura in merito a questo effetto collaterale raro ma grave.
Una donna caucasica di 36 anni riportava perdita di peso, dolore alle ossa e lesioni litiche ossee multiple. L'analisi ha rivelato anemia, gammopatia monoclonale con IgAk (livelli di paraproteina 39 g/L) con drastica riduzione dei livelli di immunoglobuline. La biopsia del midollo osseo ha mostrato il 60% di plasmacellule clonali, compatibili con un mieloma multiplo allo stadio IIIA. Oltre a questi risultati, le funzioni epatiche e renali erano normali e la donna non mostrava altre alterazioni biochimiche correlate ad una patologia sottostante.
La paziente ha iniziato il trattamento con talidomide (100 mg/die, portati a 200 mg/die dopo 7 giorni) e desametasone (40 mg/die per 4 giorni ogni 15 giorni) con dalteparina come profilassi per il tromboembolismo venoso. Il trattamento era ben tollerato e non associato ad effetti collaterali dovuti all'uso di questi due farmaci. Alla quinta settimana di terapia, la pazienti è stata ospedalizzata per la terapia del dolore. Le valutazioni di laboratorio rivelavano evidenti anomalie nella funzionalità epatica, con elevati livelli di AST e ALT (15 e 30 volte il limite superiore di normalità, rispettivamente). Il sonogramma epatico non mostrava infezioni acute da epatite A, B o C.
Talidomide è stata considerata l'agente causale di questo danno epatico ed è stata interrotta. La funzionalità del fegato si è ristabilita e normalizzata entro 20 giorni dalla sospensione. Perciò l'associazione temporale tra inizio della terapia, danno epatico e rapida risoluzione della tossicità al fegato con l'interruzione del farmaco supportava chiaramente l'ipotesi di epatotossicità indotta da talidomide. Non è stata effettuata biopsia epatica, in quanto l'innalzamento delle transaminasi si è risolto rapidamente dopo la sospensione del farmaco.
Gli autori hanno rilevato solo tre case report di epatotossicità da talidomide in letteratura e un caso di tossicità da lenalidonide riportato più recentemente. La tossicità epatica grave indotta da talidomide era stata descritta in precedenza in pazienti con epatite, steatoepatite non alcolica e in un soggetto con funzionalità epatica e renale normali. L'esatto meccanismo di questa tossicità al fegato resta sconosciuto.