UN TRATTAMENTO IPOLIPEMIZZANTE INTENSIVO CON ATORVASTATINA
E' PIU' EFFICACE NEL RIDURRE L'INCIDENZA DI EVENTI CORONARICI MAGGIORI
IN PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA
RISPETTO AD UN TRATTAMENTO PIU' MODERATO CON PRAVASTATINA



COMPARISON OF INTENSIVE AND MODERATE LIPID LOWERING WITH STATINS AFTER ACUTE CORONARY SYNDROMES
Cannon CP, Braunwald E, McCabe CH et al.
N Engl Med 2004; 350:1-10


RIASSUNTO
CONTESTO La terapia ipolipemizzante con statine riduce il rischio di eventi cardiovascolari, ma non è stato ancora chiarito in modo definitivo quale sia il livello ottimale di colesterolo LDL.
METODI Sono stati arruolati 4.162 soggetti ospedalizzati per sindrome coronarica acuta nell'arco dei dieci giorni precedenti l'arruolamento e successivamente randomizzati al trattamento con 40 mg/die di pravastatina (terapia standard) (gruppo 1) oppure con 80 mg/die di atorvastatina (terapia intensiva) (gruppo 2). L'end point primario era rappresentato da morte per ogni causa, infarto del miocardio, angina instabile documentata che richiedeva una riospedalizzazione, rivascolarizzazione (effettuata almeno 30 giorni dopo la randomizzazione) e ictus. Lo studio era stato disegnato con l'obiettivo di stabilire una non-inferiorità di pravastatina rispetto ad atorvastatina riguardo al tempo d'azione e all'end point primario. Il follow-up ha avuto una durata media di 24 mesi (da un minimo di 18 ad un massimo di 36).
RISULTATI I livelli medi di colesterolo LDL ottenuti durante il trattamento sono stati di 95 mg/dL (2,46 mmol/L) nel gruppo 1 (dose standard) e di 62 mg/dL (1,60 mmol/L) nel gruppo 2 (dose elevata) (p<0,001). Le stime secondo Kaplan-Meier dell'incidenza degli end point primari a due anni erano 26,3% nel gruppo pravastatina e 22,4% in quello atorvastatina, riflettendo una riduzione del 16% nell'hazard ratio in favore di atorvastatina (p=0,005; 95% IC 5-26%).
CONCLUSIONI Tra i pazienti che hanno avuto di recente una sindrome coronarica acuta, un trattamento ipolipemizzante intensivo con statine fornisce una maggiore protezione contro il decesso o gli eventi cardiovascolari maggiori, rispetto ad una terapia a dosaggio standard. Questi risultati indicano che tali soggetti traggono un beneficio da una riduzione repentina e continua dei livelli di colesterolo LDL fino ad arrivare a valori ematici sostanzialmente al di sotto di quelli attualmente considerati come target.

COMMENTO
Numerosi ampi studi randomizzati hanno evidenziato come la terapia ipolipemizzante con gli inibitori dell'idrossimetilglutaril CoA-reduttasi (statine) riduca il rischio di morte o di eventi cardiovascolari sia in pazienti con storia di coronaropatia che in quelli senza coronaropatia pregressa. Le dosi di statine impiegate in questi studi riducevano i livelli di colesterolo LDL del 25% - 35%, considerando che le linee guida in vigore in quel periodo raccomandavano per pazienti con malattia coronarica dimostrata o con diabete un valore target di colesterolo LDL inferiore a 100 mg/dL (2,59 mmol/L). Tuttavia non è chiaro se una riduzione ulteriore dei livelli possa aumentare il beneficio clinico.
Al congresso 2004 dell'American College of Cardiology sono stati presentati i risultati dello studio PROVE-IT (Pravastatin or Atorvastatin Evaluation and Infection Therapy- Thrombolysis in Myocardial Infarction, trial 22) che dimostrano appunto come una terapia ipolipemizzante aggressiva con atorvastatina 80 mg/die fornisca una protezione più efficace contro la morte e gli eventi cardiovascolari (CV) rispetto a quella conferita da pravastatina 40 mg/die in pazienti recentemente ospedalizzati con sindrome coronarica acuta (ACS). Un ulteriore abbassamento del colesterolo LDL al di sotto del valore target produce quindi un beneficio aggiuntivo.
Lo stesso ricercatore, CP Cannon, sostiene che i pazienti con ACS debbano iniziare un trattamento ipolipemizzante intensivo appena rientrati a casa e continuarlo fino a quando il colesterolo LDL non è sceso a livelli molto bassi.
Nel corso del congresso è stato ipotizzato che questi risultati, così forti, potrebbero provocare la modifica delle attuali linee guida ATP-III del National Cholesterol Education Program (NCEP).
Lo studio PROVE-IT si prefiggeva lo scopo di saggiare l'ipotesi che una riduzione assoluta dei livelli di colesterolo LDL in pazienti con ACS sia associata ad un rischio ridotto di eventi CV, valutando contemporaneamente l'efficacia e la sicurezza di un trattamento ipolipemizzante aggressivo. Lo studio di non-inferiorità è stato disegnato per verificare l'equivalenza tra 40 mg/die di pravastatina e 80 mg/die di atorvastatina in pazienti con ACS.
Per rispondere alla domanda "più basso è meglio", i ricercatori hanno deciso di confrontare l'effetto di una riduzione di colesterolo LDL a circa 100 mg/dL con pravastatina 40 o a circa 70 mg/dL con atorvastatina 80.
Tra novembre 2000 e dicembre 2001, sono stati arruolati 4.162 soggetti (uomini e donne di età > 18 anni con un valore medio di 58,3 anni) ospedalizzati per una sindrome coronarica acuta o a rischio di sviluppare angina instabile, nei 10 giorni precedenti l'arruolamento, e randomizzati al trattamento con 40 mg/die di pravastatina (gruppo 1; n=2.063, di cui maschi n=1617 [78,4%]) o con 80 mg/ die di atorvastatina (gruppo 2; n=2.099 di cui maschi n=1.634 [77,8%]). I pazienti dovevano avere livelli di colesterolo totale <240 mg/dL, misurati nelle prime 24 ore dall'insorgenza della ACS. Quelli che erano già in terapia a lungo termine con statine dovevano invece avere livelli <200 mg/dL. Alla maggior parte dei partecipanti sono stati somministrati concomitantemente nel periodo di follow-up aspirina (93%), beta-bloccanti (85%), clopidogrel/ticlopidina (72%) e ACE-inibitori (69%). Le caratteristiche al basale di tutti i pazienti apparivano abbastanza omeogee (ad esempio il valore medio di colesterolo LDL era 106 mg/dL [2,74 mmol/L]), ad eccezione della storia di malattia arteriosa periferica, più comune nel gruppo in terapia con pravastatina rispetto a quello con atorvastatina (p=0,03).
Come atteso, atorvastatina ha ridotto i livelli di colesterolo LDL maggiormente di pravastatina. Durante il follow up il valore è sceso a 95 mg/dL (2,46 mmol/L) nel gruppo 1 e 62 mg/dL (1,60 mmol/L) nel gruppo 2 (p<0,001). I livelli medi di colesterolo HDL sono aumentati del 8,1% nel gruppo 1 e del 6,5% nel 2 (p<0,001). Per i pazienti già in terapia, i livelli di colesterolo LDL sono rimasti uguali al basale con pravastatina, mentre sono stati ridotti di un addizionale 32% con atorvastatina (p<0,001).
Il livello di colesterolo LDL era di 33 mg/dL (0,85 mmol/L) più basso nel gruppo con atorvastatina rispetto al gruppo con pravastatina. Questa differenza potrebbe tradursi in una riduzione del 20% degli eventi clinici, molto simile alla riduzione del 16% osservata e suggerisce che gran parte del beneficio sia attribuibile alla diversa entità di diminuzione dei livelli di colesterolo LDL. Non si può tuttavia escludere la possibilità che la differenza negli esiti clinici possa essere causata, in parte, da effetti pleiotropici non correlati ai lipidi, i quali possono differire tra le due statine utilizzate.
Le concentrazioni medie di proteina C-reattiva sono fortemente diminuite dai 12,3 mg/L, stimati al basale, a 2,1 mg/L nel gruppo 1 e a 1,3 mg nel gruppo 2 (p<0,001).
L'incidenza a 24 mesi degli end point primari composti, secondo la stima di Kaplan-Meier, era del 26,3% nel gruppo 1 e del 22,4% nel gruppo 2, con una riduzione del rischio relativo del 16% a favore di atorvastatina (p=0,005; 95% IC 5-26%). Il beneficio di atorvastatina è comparso già dopo 30 giorni di trattamento ed è rimasto consistente nel tempo. Pravastatina ha quindi fallito per quanto riguarda l'ipotesi di equivalenza.
La riduzione precoce dell'incidenza di eventi osservata nei pazienti con ACS contrasta con quanto noto dagli studi precedenti con statine nei quali l'effetto era evidente solo dopo uno o due anni. Secondo l'autore, i dati suggeriscono che questa popolazione di pazienti con ACS, che hanno una lesione in atto e frequentemente anche placche vulnerabili multiple, possano ricavare un beneficio particolare da una intensa e precoce riduzione del colesterolo LDL con le statine.
Tra i componenti singoli dell'end point primario, si osserva un beneficio consistente a favore di atorvastatina ad alto dosaggio, ad eccezione dell'ictus, che mostra solo una leggera differenza. Inoltre il beneficio è presente in tutti i sottogruppi predefiniti, tra cui uomini e donne, pazienti con diabete, pazienti con angina instabile o infarto miocardico acuto.

END POINT SECONDARI
PRAVASTATINA 40 (n=1973) %
ATORVASTATINA 80
(n=2003) %
RIDUZIONE RISCHIO RELATIVO %
p
Morte CHD
IMA non fatale
o rivascolarizzazione
22,3
19,7
14
0,03
Mortalità per tutte le cause
3,2
2,2
28
0,07
Morte/IMA non fatale
10,0
8,3
18
0,06
Angina instabile
5,1
3,8
29
0,02
Rivascolarizzazione
18,8
16,3
14
0,04

Il tasso di interruzione per eventi avversi, preferenza dei pazienti o altri motivi non era statisticamente differente tra i due gruppi a 12 e a 24 mesi. La percentuale di pazienti che hanno sviluppato alterazioni della funzionalità epatica, definita come livelli di ALT più di tre volte ai limiti superiori del normale, era dell'1,1% con pravastatina e del 3,3% con atorvastatina (p<0,001).

Una terapia intensiva con un dosaggio elevato di atorvastatina ha dimostrato quindi di esplicare un consistente effetto benefico sugli eventi cardiaci.
Le implicazioni cliniche di questi risultati sono profonde. Attualmente, infatti, più di 200 milioni di persone nel mondo hanno i requisiti per essere trattate con statine, ma meno di 25 milioni assumono questi farmaci
.