EARLY
INTENSIVE VS A DELAYED CONSERVATIVE SIMVASTATIN STRATEGY IN PATIENTS WITH
ACUTE CORONARY SYNDROMES: PHASE Z OF THE A TO Z TRIAL
de Lemos JA, Blazing MA, Wiviott SD, et al; A to Z Investigators
JAMA 2004; 292:1307-16
RIASSUNTO
CONTESTO: Sono disponibili pochi dati che valutano come il momento
e l'intensità della terapia con statine dopo una sindrome coronarica
acuta (ACS) influenzino gli esiti clinici.
OBIETTIVO: Confrontare un avvio precoce rispetto all'insorgenza
dell'evento acuto di un regime intensivo con un inizio ritardato di un
regime meno intensivo in pazienti con ACS.
METODI: Studio internazionale, randomizzato, in doppio-cieco di
pazienti con ACS in terapia con simvastatina 40 mg/die per 1 mese seguita
da simvastatina 80 mg/die (gruppo 1; n=2265), confrontati con pazienti
con ACS trattati con placebo per 4 mesi e con simvastatina 20 mg/die (gruppo
2; n=2232), arruolati nella fase Z dello studio A to Z tra il 29 dicembre
1999 ed il 6 gennaio 2003.
END POINT: L'end point primario era composto da morte cardiovascolare
(CV), infarto miocardico (IM) non fatale, riammissione per ACS ed ictus.
Il follow-up è durato almeno 6 mesi fino ad un massimo di 24 mesi.
RISULTATI: Nei pazienti del gruppo 2 i livelli mediani di colesterolo
LDL erano di 122 mg/dL ad 1 mese di assunzione del placebo, 77 mg/dL dopo
8 mesi di assunzione di statina 20 mg/die. Tra i pazienti del gruppo 1
questi livelli erano di 68 mg/dL dopo 1 mese di simvastatina 40 mg/die
e 63 dopo 8 mesi di simvastatina 80 mg/die. Nel gruppo 2 343 pazienti
(16,7%) sono incorsi in uno degli eventi previsti nell'end point primario,
confrontati con 309 (14,4%) nel gruppo 1 (hazard ratio [HR] 0,89; intervallo
di confidenza [IC] al 95% 0,76-1,04; p=0,14). Solo l'occorrenza di morte
cardiovascolare mostrava una differenza al limite della significatività
tra i due gruppi (109 [5,4%] nel gruppo 2 vs 83 [4,1%] nel gruppo 1; HR
0,75; IC 95% 0,57-1.00; p=0,05). Nessuna differenza significativa nell'incidenza
di eventi primari era evidente nel corso dei primi 4 mesi (HR 1,01; IC
95% 0,83-1,25; p=0,89), mentre dai 4 mesi in avanti l'HR per l'end point
primario diventava significativo (HR 0,75; IC 95% 0,60-0,95; p=0,02).
Casi di miopatia (creatin kinasi >10 volte il limite superiore dei
livelli normali associata a sintomatologia muscolare) si sono verificati
in 9 pazienti (0,4%) in terapia con simvastatina 80 mg/die, in nessuno
del gruppo con le dosi più basse ed in 1 con il placebo.
CONCLUSIONI: Il trial non ha raggiunto gli end point pre-specificati.
Tuttavia, tra i pazienti con ACS, l'inizio precoce di una terapia aggressiva
con simvastatina è risultata in un trend favorevole verso la riduzione
degli eventi CV maggiori.
COMMENTO
La fase Z dello studio A to Z è stata disegnata per valutare
una strategia precoce ed intensiva di trattamento con simvastatina in
pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) nei confronti di una terapia
meno intensiva e più ritardata nel tempo, rispetto all'insorgenza
dell'evento acuto.
Il campione di 4500 pazienti (2250 per gruppo di trattamento) era stato
selezionato per raggiungere 970 eventi entro 1 anno dall'arruolamento.
Nel periodo dicembre 1999 / gennaio 2003 sono stati arruolati, presso
322 centri di 41 paesi, 4497 pazienti a 3,7 giorni medi dall'insorgenza
dei sintomi. Un gruppo di pazienti è stato randomizzato alla terapia
con simvastatina 40 mg/die per 1 mese seguita da simvastatina 80 mg/die
(gruppo 1; n=2265); un altro gruppo alla terapia con placebo per 4 mesi
seguita da simvastatina 20 mg/die (gruppo 2; n=2232). Il periodo mediano
di follow-up è stato di 721 giorni.
L'end point primario, composto da morte cardiovascolare, infarto miocardico,
riammissione ospedaliera per ACS ed ictus, si è verificato in 343
pazienti (16,7%) del gruppo 2 e in 309 pazienti (14,4%) del gruppo 1 (HR
0,89; IC 95% 0,76-1,04; non significativo), un numero di eventi inferiore
a quello atteso e sul quale lo studio era stato dimensionato.
All'analisi post-hoc nessuna differenza nell'incidenza dell'end point
primario era evidente tra i 2 gruppi 4 mesi dopo la randomizzazione, che
corrisponde al periodo in placebo per il gruppo 2.
Il trattamento è stato interrotto in 711 pazienti (32%) nel gruppo
2 e in 765 (34%) nel gruppo 1. Riguardo l'insorgenza di eventi avversi,
la proporzione di pazienti con innalzamento delle ALT o AST a livelli
superiori di 3 volte il limite di normalità era dello 0,4% nel
gruppo 2 e dello 0,9% nel gruppo 1 (p=0,05). Eventi avversi correlati
alla muscolatura scheletricasi sono verificati nell'1,5% dei pazienti
del gruppo 2 e nell'1,8% dei pazienti del gruppo 1. 10 pazienti del gruppo
1 hanno sviluppato miopatia (CPK >10 volte il limite di normalità).
In generale si può affermare che lo studio non ha raggiunto l'end
point pre-specificato e l'11% di riduzione relativa (2,3% assoluta) osservata
nella frequenza degli eventi primari non era significativa. Ciononostante
il regime intensivo è risultato in un trend favorevole verso la
riduzione, risultato qualitativamente consistente con precedenti trial,
PROVE IT-TIMI 22 e REVERSAL
che hanno dimostrato un beneficio in termini di riduzione di eventi e
di diminuita progressione dell'aterosclerosi con un regime intensivo (80
mg/die di atorvastatina) nei confronti di uno meno aggressivo (40 mg/die
di pravastatina).
Secondo gli autori molti fattori possono spiegare l'assenza di significatività
statistica dei risultati ottenuti: primo, il beneficio clinico si è
instaurato più tardi del previsto e con minore intensità;
secondo, il trial ha avuto una potenza statistica inferiore a quella pianificata
a causa di un numero più basso di eventi (652 vs 970) e un numero
più alto di interruzioni del trattamento (33%) rispetto alle attese;
terzo, la differenza tra le riduzioni dei livelli di colesterolo LDL nei
due gruppi, che è risultata inferiore rispetto agli altri trial,
potrebbe spiegare la minor riduzione relativa dell'incidenza dell'end
point primario.
Gli
esperti sostengono che questi risultati non debbano sottrarre peso alle
evidenze di altri studi riguardo gli importanti benefici derivanti da
una terapia precoce ed aggressiva con statine; tuttavia essi esprimono
cautela nei confronti della dose di simvastatina di 80 mg/die.
Per le altre statine, le dosi più alte studiate avevano dimostrato
benefici ed una buona tollerabilità (vedi studi MIRACL
e PROVE-IT); quindi deve essere il medico a decidere quale farmaco
utilizzare in un paziente con ACS e a quale dose, ricordando che questa
deve essere superiore a quella normalmente impiegata nella terapia ipolipemizzante.
Due altri studi in corso (SEARCH: alta vs bassa dose di simvastatina;
TNT: alta vs bassa dose di atorvastatina) saranno in grado di confermare
i benefici di una terapia aggressiva rispetto ad una conservativa utilizzando
lo stesso farmaco.
In
un editoriale che ha accompagnato la pubblicazione, Nissen sostiene che,
considerando MIRACL, PROVE-IT e A to Z insieme, si hanno le prove che
gli effetti benefici delle statine nella ACS non possono essere predetti
interamente dall'entità della riduzione del colesterolo LDL.
I due precedenti studi avevano indotto una riduzione del 34 e 38% della
proteina C-reattiva (PCR) nel braccio con statina a dosi aggressive rispetto
all'altro braccio, mentre la riduzione osservata nello studio A to Z è
più bassa (17%). Questa evidenza suggerisce una ipotesi interessante,
ovvero che i benefici precoci delle statine derivino ampiamente dagli
effetti antinfiammatori di questi farmaci, mentre i benefici ritardati
siano modulati dai lipidi. D'altra parte è azzardato ipotizzare
che agenti simili, appartenenti alla stessa classe di farmaci, producano
risultati identici.
L'incidenza di casi di miopatia nello studio A to Z è stata più
alta di quella osservata in altri trial con statine (6 studi con atorvastatina
80 mg/die su più di 10.000 pazienti non hanno evidenziato miopatie
e/o rabdomiolisi); secondo Nissen dovrà essere posta particolare
attenzione da parte del medico sulla scelta della dose di 80 mg/die di
simvastatina.
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